(da Milano Finanza)
Basteranno le due portaerei da 200 mila tonnellate che gli Usa
hanno schierato a protezione di Israele per far recuperare al mondo
intero il convincimento che l?America è sempre il paese più potente
e più orientato alla difesa dei valori occidentali?
L?obiettivo delle due portaerei è chiaro: dissuadere
Hamas-Hezbollah-Jihad islamica e l?Iran, che li benedice, a stare
bene attenti a non aprire altri fronti, in particolare al confine
libanese. Con questa mossa, anche se per molti aspetti inevitabile,
Joe Biden appare in un certo modo rivitalizzato. Tuttavia, più agli
occhi del mondo occidentale che agli occhi degli stessi
americani.
È come un sentimento sottile ma inequivocabile che si sente
atterrando in questi giorni a New York. C?è un senso di mestizia
che è pari al pallore del suo presidente. Anche in un luogo quasi
sacro per l?intellighenzia americana come Harvard, sia pure
nell?Harvard Club di New York, si respira più preoccupazione che
determinazione. E non soltanto perché nei giorni scorsi ben 33
gruppi di studenti di Harvard hanno pubblicato una lettera in cui
tutta la responsabilità di quanto sta succedendo in Israele e
Palestina viene attribuita a Israele. La contestazione studentesca
è sempre esistita e le università americane hanno il pregio, anche
per la loro forma giuridica prevalentemente privata, di essere
aperte a tutti quelli che meritano e che pagano, indipendentemente
dall?idea o dalla nazionalità.
L?intelligence degli Usa ha fatto fiasco?
È mestizia perché intanto lo stare dalla parte di Israele, che è
un must, non fa passare in secondo piano che a fronte delle
centinaia di ostaggi catturati da Hamas ci sono migliaia di morti
palestinesi prima ancora che l?annunciata azione di terra da parte
del governo di Israele abbia avuto inizio. Ma soprattutto perché il
fortissimo apparato di informazione degli Stati Uniti, come del
resto quello più diretto di Israele, non aveva avuto la minima
percezione di quanto Hamas stesse preparando e forse neppure dei
300 km di gallerie in cemento armato che sono state realizzate
nella striscia di Gaza dai terroristi. C?è come l?idea che, avendo
concentrato molto di tutto il sistema americano sulla guerra della
Russia contro l?Ucraina e sullo scontro con Pechino per Taiwan, il
sistema americano abbia perso di vista il resto del mondo a parte,
appunto le mosse molto impegnative di favorire, in chiave Taiwan,
la pace fra Giappone e Corea del Sud e fra Giappone e Filippine,
con la costruzione di decine di basi militari nel paese dove è
ritornato al potere un rampollo della famiglia Marcos.
Proprio ad Harvard si pensa invece che quanto avverrà fra
Israele e il Medio Oriente riguarderà direttamente l?America e il
mondo. Per questo il democratico Biden ha preso il coraggio a
quattro mani e ha mandato le due portaerei per mostrare la tuttora
preponderante potenza bellica americana ed evidenziare che la
politica isolazionista del partito repubblicano paga sempre
meno.
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e azioni. Tutti i target attesi dagli esperti su oro, petrolio,
gas
Le difficoltà di Biden
Anche se fosse meno tremolante di quanto appare, il compito del
presidente Biden è diventato veramente difficilissimo, per varie
evidenti evoluzioni nel mondo. In primo luogo, c?è il tentativo,
ancora incerto, di creare un rapporto solido con l?India e con
l?Arabia Saudita, due paesi che guardano sempre di più a una
dimensione transnazionale e che proprio per questo mirano ad avere
buoni rapporti con gli Usa, ma non a essere dagli Usa eterodiretti.
India in Asia e Arabia Saudita in Medio Oriente non perseguono
certo il caos, anzi lo combattono, ma appunto rispetto agli Usa più
che un buon vicinato non vogliono avere; insomma, collaborazione ma
non dipendenza, nonostante tutti gli sforzi recenti di Washington
per far diventare l?India nemica della Cina e riferimento assoluto
degli Usa nel grande continente asiatico.
In secondo luogo, la confusione se non il caos che c?è per
l?Iran in tutto il medioriente, sommata al costo di armi e non solo
per sostenere la difesa e talvolta l?attacco dell?Ucraina contro la
Russia, comportano un consumo non indifferente di qualsiasi tipo di
risorsa americana, da quella economico finanziaria a quella
politica e militare, naturalmente.
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escalation si rischia il cigno nero
E se la Cina...
Ma c?è un altro aspetto che deprime e preoccupa in questo
momento gli Usa. E riguarda la chiara volontà della Cina di
reinterpretare e modificare, facendone propaganda, i cardini della
democrazia occidentale. Non di annullarli ma di far pesare su
diritti umani, democrazia e di conseguenza libertà il cosiddetto
pensiero del presidente Xi Jinping, che cogliendo, tutto sommato
una debolezza degli Usa, ha tolto dalla Costituzione il limite di
due mandati, che era uno dei cardini che più avvicinava la Cina al
mondo occidentale dopo la definizione del paese che aveva dato il
vicepresidente Deng Xiao Ping e cioè il concetto di una Cina paese
comunista ma con strumenti capitalistici. Perfino la Russia, alla
fine del regime totalitario, tentando di avvicinare la democrazia,
aveva previsto nella costituzione che il presidente non potesse
fare più di due mandati consecutivi. Fatta la legge trovato
l?inganno da parte di Vladimir Putin, che ha lasciato invariata la
costituzione ma dopo i suoi primi due mandati ha fatto nominare
presidente per una legislatura la sua testa di legno, Dmitry
Medvedev, che era primo ministro e Putin stesso ha fatto un mandato
da primo ministro, per poi tornare a fare il presidente per altri
due mandati. Vanificando così uno dei principi più classici della
democrazia.
E a parte questi aspetti costituzionali di democrazia, i
reciproci aiuti fra i paesi più nemici degli Usa si stanno facendo
importanti: la Russia gode della fornitura dall?Iran di droni per
la guerra contro l?Ucraina; sempre l?Iran fornisce petrolio alla
Cina; e in una qualche misura Russia e Cina, ambedue nel consiglio
di sicurezza dell?Onu, hanno protetto Hamas, che inevitabilmente e
non solo per i droni, è aiutato dall?Iran.
L?incognita Trump
La preoccupazione che si percepisce fra gli americani più
autentici e quindi più votati ai principi della democrazia e più
ideologicamente impegnati per la maggiore diffusione possibile
dell?essenza della democrazia, è quale potrà essere l?esito delle
elezioni. Evidentemente, se vinceranno i repubblicani e se
ritornasse presidente Donald Trump, sarebbe sicuro il rifiuto di
una responsabilità globale a garanzia della democrazia. C?è
comunque chi non si meraviglia del possibile disimpegno degli Usa,
indipendentemente da Trump, e forse anche nel caso di candidatura e
vittoria della repubblicana, Nikki Haley, nata nel 1972, ex
ambasciatrice Usa all?Onu. C?è chi ricorda che nella Seconda guerra
mondiale gli Usa entrarono nel conflitto solo dopo l?attacco
giapponese a Pearl Harbour, nel 1941. Dopo liberarono l?Europa, ma
decisero anche di usare la bomba atomica per sconfiggere il
Giappone, con oltre 250 mila morti a Hiroshima e Nagasaki.
Usa vs Cina: lo scontro eterno
Se gli Stati Uniti appaiono meno decisivi sullo scacchiere
militare, il loro primato nel campo economico e della produzione è
fuori discussione. Con cinque volte gli abitanti Usa (per la
precisione 1,5 miliardi), la Cina, nonostante i balzi in avanti
fatti negli ultimi 45 anni, non ha scalfito il primato che vede gli
Usa realizzare il 25% della produzione mondiale appunto con 20%
della popolazione cinese. La tecnologia americana è tuttora
superiore anche se la Cina sta crescendo, peraltro proprio grazie
al fatto che per ottenere i costi più bassi alcune produzioni
importantissime americane, come quelli di Apple, sono state fatte
eseguire in Cina. Quando la Cina ha assunto il ruolo di secondo
leader per tecnologia, gli Usa hanno sollecitato, per esempio
sempre l?Apple, a spostare la produzione in Vietnam e in India.
Probabilmente i buoi però sono già scappati. Sono nati così i
divieti per aziende cinesi di andare in Usa e anche nei paesi
europei, come per esempio nei confronti di Huawei, che ha la
tecnologia migliore per il 5G.
Ciò che per le differenze di regime gioca tuttavia a vantaggio
della Cina è il forte controllo sulla degenerazione dell?uso di
internet e delle tecnologie derivate. È stata per prima la Cina,
infatti, a porre limiti all?uso dei device da parte dei ragazzi e
ovviamente fenomeni come Facebook o Instagram, almeno dal lato
negativo, in Cina non si stanno verificando. Per contro, in un
paese dove trionfa la libertà assoluta, le degerazioni sono molto
gravi e l?ex-presidente Barack Obama l?ha pubblicamente denunciato
nel suo discorso alla Stanford University, come in queste pagine è
stato ampiamente documentato.
La leadership degli Usa è a rischio?
Qualcuno, anche in occidente, ritiene che per i motivi esposti
il clima un pò depresso che si percepisce perfino a New York, dove
l?eccitazione è sempre al massimo, faccia parte di un inevitabile
ciclo. La ripresa o la caduta dipenderà molto da chi sarà il futuro
presidente e che politica adotterà. Paradossalmente, nella vicenda
Israele-Hamas, l?invio delle due portaerei non solo ha fatto dare
un segno vitale al presidente Biden, ma potrà anche indicare se in
un mondo sempre più complesso gli Usa potranno conservare e in
parte recuperare un ruolo primario. Dipenderà anche dalla capacità
di dialogo e cooperazione che l?America avrà in primo luogo con
l?Europa e certamente un passaggio decisivo sarà quello di trovare
un modus vivendi con la Cina, dove non a caso dopo le forte
tensione per il pallone spia, tutti i maggiori componenti del
governo Biden negli ultimi tre mesi sono andati direttamente a
Pechino. Non certo per acuire i dissensi. Sul piano economico, la
Cina è talmente importante per gli Usa, che se non coltivassero la
relazione vorrebbe dire che lo scontro per Taiwan avverrà. Ma vorrà
anche dire che né gli Usa né la Cina hanno deciso di non prestare
fede a quanto suggerì 65 anni fa il presidente Mao, come ha
ricordato il centenario Henry Kissinger. Sia all?ambasciatore di
Pechino a Washington che nel suo viaggio recente in Cina, Kissinger
ha ricordato la frase di Mao su Taiwan: "Quella parola non dovrà
essere pronunciata per almeno 100 anni". Ne mancano ancora 35, ha
ricordato Kissinger.
Quella partita per Mediobanca
Non è certo per l?utile record (351 milioni, + 34%
sull?esercizio precedente) che la famiglia Benetton si è orientata
a votare per la lista del consiglio d?amministrazione di
Mediobanca. La ragione è legata al cambiamento di filosofia
gestionale che è stata introdotta da quando è diventato presidente
Alessandro Benetton, anche l?unico della famiglia che ha chiesto
scusa con parole adeguate per il disastro del Ponte sul Polcevera,
quando il gruppo di Ponzano era controllore di Autostrade per
l?Italia e i capi di allora tolleravano con soddisfazione economica
le mancate manutenzioni decise dall?ad Giovanni Castellucci, che
così vedeva salire i suoi bonus. La cultura di Alessandro, figlio
del geniale Luciano, è maturata con studi internazionali e master e
con la decisione di avviare una attività in proprio nel settore dei
private equity. Con 21 Investimenti, Alessandro ha saputo avere
successo nel settore finanziario più sostificato, apprendendone a
fondo le regole. Soltanto quando suo padre Luciano, che aveva
creato un impero partendo dall?idea geniale di confezionare golf
con filati neutri per poi tingerli con i colori che in quella
stagione tiravano di più, gli chiese di tentare di rilanciare il
network Benetton, Alessandro era entrato nell?attività di famiglia
per poi tornare a 21 Investimenti. Dopo la tragedia del ponte è
stato inevitabile per suo padre, gli zii e i cugini chiedergli di
salire al vertice di edizioni che controlla tutto il gruppo. E
insieme all?ad, professor Enrico Laghi, uomo di altissima
professionalità, ha subito dato un nuovo sviluppo al gruppo
ribattezzando anche la holding Atlantia in Mundys, trovando subito
intesa con gli altri soci internazionali e avviando un programma di
forte sviluppo.
La cultura manageriale e finanziaria di Alessandro Benetton non
è certo quella dei Caltagirone e di Francesco Milleri, che ora
guida il colosso creato da Leonardo Del Vecchio. Un?accoppiata che
aveva già tentato l?assalto a Generali che ha riprovato a imporre
in Mediobanca l?abbandono dei migliori criteri di governance
internazionale. (riproduzione riservata) (Milano Finanza)
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October 28, 2023 01:26 ET (05:26 GMT)
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